Economia digitale
La Digital Services Tax (DST) Italiana
cepAdhoc
Secondo l'economista del cep Eleonora Poli, a Roma: "Una tale imposta ha il potenziale di innescare misure ritorsive da parte degli Stati Uniti che l'economia italiana non può permettersi". La ricercatrice del cep sottolinea che, in questo contesto, è essenziale spingere per un accordo globale all'interno dell'OCSE, o almeno a livello europeo (UE), per trovare una soluzione armonizzata e congiunta per la tassazione digitale che benefici entrambe le parti e riduca le dispute commerciali.
La crescente rilevanza dell'economia digitale, che in pochi anni ha raggiunto il 15,5% del prodotto interno lordo (PIL) globale, ha messo in evidenza le significative limitazioni dei sistemi fiscali tradizionali, che si basano sulla presenza fisica di un'azienda in una regione o in un paese specifico. Nel corso dell'ultimo decennio, l'OCSE ha collaborato con oltre 130 paesi per negoziare un quadro di cambiamento su come e dove le grandi aziende digitali pagano le imposte.
L'iniziativa guidata dall'OCSE ha spianato la strada per i tentativi da parte di singoli paesi di introdurre una propria tassa nazionale sui servizi digitali, che potrebbe avere diverse conseguenze geopolitiche ed economiche.
L'Italia ha introdotto una Digital Services Tax (DST), conosciuta anche come "web tax", nel 2019, ma una nuova web tax è prevista per il 2025. La proposta mirava inizialmente a includere anche le piccole e medie imprese (PMI). "Le PMI sono la spina dorsale dell'economia italiana, e per questo, questo piano dovrebbe essere abbandonato", sostiene Poli. Più in generale, l'UE dovrebbe rafforzare la propria sovranità digitale.
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Italy’s Digital Services Tax (pubblicizzato 12.12.2024) | 431 KB | Download | |
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